Atti del convegno Latte e Linguaggio III del 2015
a cura di Luigi Ballerini e Emanuela Oliveti
Danilo Montanari Editore
LATTE
Nei paesi del Medio Oriente, nei grandi spazi indo-iranici, in larghe zone del continente africano, dai nomadi Berberi all’Egitto, all’Etiopia, alla Nigeria, l’“alimento perfetto” ha nutrito popoli, mosso carovane, ispirato cosmogonie, innervato (insieme al burro liquido e al miele) grandiose metafore bibliche. Latte vaccino, ovino, caprino (ma anche bufalino e asinino) in Europa, Persia, India, nei grandi antichi regni africani, latti dolci che “ad usum christianorum venium tantum”, come li classificava alla fine del XV secolo il maestro dello studio padovano e medico dei duchi d’Este Michele Savonarola nella Practica Major, riferendosi ai consumi di latte nell’Europa evangelizzata; latte equino e di cammella, acri all’olfatto e pungenti nel sapore, nell’universo errante delle steppe e dei deserti. Le divisioni geografiche ed etniche non furono però mai troppo rigide. Basterebbe ricordare che la selvaggia e quasi ferina vergine Camilla, campione delle più antiche genti italiche del Lazio, era stata allevata con latte di cavalla dal quale sembrerebbe avesse attinto la sua scalpitante, indomita natura: “armentalis equae mammis et lacte ferino nutribat” (Eneide, XI, 570-71).
Piero Camporesi, Le vie del latte (Dalla Padania alla steppa)
LINGUAGGIO
Vi è da credere che i bisogni dettarono i primi gesti e le passioni strapparono i primi suoni. Seguendo con queste distinzioni il percorso dei fatti, forse si potrebbe ragionare sull’origine delle lingue in modo completamente diverso da come si è fatto fino ad ora. […] Il linguaggio dei primi uomini è stato presentato come il linguaggio dei geometri, mentre possiamo vedere che fu quello dei poeti. […] Non si cominciò con il ragionare, ma con il sentire. Si pretende che gli esseri umani inventarono la parola per esprimere i loro bisogni; quest’opinione mi sembra del tutto insostenibile. L’effetto naturale dei primi bisogni fu quello di allontanare gli uomini e non di avvicinarli. Ciò fu necessario perché la specie potesse estendersi e la terra si popolasse in fretta; in caso contrario il genere umano si sarebbe affollato in un angolo del mondo e tutto il resto sarebbe rimasto deserto. Ne consegue con evidenza che l’origine delle lingue non è dovuta ai primi bisogni degli uomini; sarebbe assurdo che ciò che li allontana sia diventato il mezzo per unirli. Da dove può derivare dunque questa origine? Dai bisogni morali, dalle passioni. Tutte le passioni avvicinano gli uomini che la necessità di cercare di sopravvivere spinge a sfuggirsi. Non sono né la fame né la sete, ma l’amore, l’odio, la pietà, la collera ad aver stimolato in loro le prime parole. […]
Jean-Jacques Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue (trad. di Annamaria Loche)