Lo stampo da burro

 

Erano gli anni ’80 quando iniziai ad interessarmi, come etnografa, alla storia economica della mia montagna, il Lagorai, a raccogliere le memorie degli ultimi mitici casari e pastori valsuganotti. Ad accorgermi che molti degli attrezzi usati per la lavorazione del latte, in particolare gli stampi da burro, stavano sparendo, in quanto, gli scaltri antiquari veneti facevano man bassa di tutto un prezioso reliquario di manufatti artistici propri della Civiltà di malga.

Ho così bloccato questo “s-commercio” con una semplice soluzione: anzitutto convincendo i malghesi che questi oggetti di arte popolare non avevano solo un valore economico, ma anche spirituale perché rappresentativi della storia dell’uomo contadino del Lagorai e della sua collettività. Successivamente proponendo loro di consegnarmi a fine stagione lo stampo troppo consunto e quindi inutilizzabile, con l’ impegno di riconsegnarlo nella successiva stagione estiva d’alpeggio identico per misura ed ornati. Avevo individuato infatti a Sarnthal – Val Sarentino, un falegname bravissimo nel costruirli artigianalmente.

La cosa poi è diventata un autentica passione. Ho iniziato a frequentare i mercatini e gli antiquari di arte naif, coinvolgendo familiari e amici viaggiatori nella loro ricerca ed acquisto, cosicché nel tempo sono riuscita a mettere insieme una piccola collezione europea di tutto rispetto.

Prima di addentrarmi, se pur sinteticamente, nella storia dei moduli da burro vorrei fare un breve antefatto su cosa sia il burro di malga e come si ottenga.

Il burro alpino italiano, per la cui produzione sono state apportate delle precise deroghe, è prodotto esclusivamente con panna cruda da affioramento del latte di vacca, munto la sera precedente. Raccolta di buon mattino con l’apposito attrezzo di legno ( la spanarola ) viene versata nella zangola, già citata nel secolo IX° tramite un disegno di PSALTERIO di UTRECHT ( Olanda), poi sostituita nella Germania del Sud e in tutto il territorio austriaco nel primo ’800 dalla botte a manovella, utilizzata a tutt’oggi sugli alpeggi del meridiano alpino, laddove le ultime deroghe non abbiano ancora introdotto la zangola d’acciaio.

Quanto impiega la panna a trasformarsi in burro? In condizioni atmosferiche normali una mezz’ora abbondante, in caso di maltempo sarà cura del malghese riscaldare preventivamente la zangola con acqua calda.

La pasta di burro crudo, una volta formatasi, estratta dalla zangola, posta sopra un tavolo di larice, sarà lavata con acqua di sorgente, impastata e spremuta con perizia da mani casare, in modo da far uscire tutto il latticello, passaggio questo importantissimo per la sua conservazione contro l’irrancidimento. Suddivisa poi in pannetti, verrà forgiata nell’apposito stampo in legno che ne determina il peso e le conferisce, grazie agli ornati incisi all’interno dello stampo, un piacevole aspetto estetico.

I pezzi di burro così ottenuti, saranno infine immersi in acqua fredda di sorgente, prima della vendita, successivamente avvolti in carta da burro utilizzata in malga solo dopo il Grande Conflitto. Prima degli anni ’20 infatti, era consuetudine avvolgere il pezzo di burro in foglie di farfaraccio, comunemente chiamate nel gergo malghese “ lengue de vaca”, lingue di vacca, per la curiosa somiglianza con la lingua del ruminante ( inserire qui Pasquale la foto che ti ho girato in face book)

Ma veniamo alla sua storia. Quando nasce lo stampo da burro, dove e perché.

Giovanni Kezich, antropologo e direttore del Museo degli Usi e Costumi delle Genti Trentine di San Michele all’Adige, fondato da Giuseppe Sĕbesta, sostiene che siano stati gli Svizzeri a inventarlo, a produrlo per primi.

Una cosa è certa: tutto ciò che imprime ornamento al panetto di burro, che sia timbro medioevale, tavoletta, rullo o scatola di legno, ha profonde radici nel mondo mediterraneo, in quegli antichissimi, millenari stampi da pane, prodotti artistici popolari nati non solo per esigenze di tipo funzionale, ma anche di rappresentazione, di fissione simbolica magico-rituale di una intera comunità.

Rimanendo in ambito alpino e prealpino europeo, antecedente al rullo, alla scatola di legno, ma forse non alla tavoletta votiva, c’era il marchio di legno medioevale, che riproduceva pari pari lo stemma del casato proprietario dell’alpeggio.

( Il Castello del Buon Consiglio di Trento ne conserva una pregevole collezione).

Con il marchio gentilizio venivano timbrate le enormi palle di burro, avvolte successivamente in foglie di farfaraccio e trasportate a valle a mezzo ceste, sul dorso del mulo. In quell’epoca e fino all’avvento del frigorifero, il burro, tolto quello fresco usato nei mesi estivi, veniva cotto e conservato nei vasi di terracotta, per i mesi invernali.

Possiamo comunque collocare con una certa attendibilità l’ invenzione di questo piccolo gioiello di arte popolare, con la nascita, all’inizio dell’800, dello Stato di Diritto, quando i comuni diventano proprietari degli alpeggi medio-bassi mentre quelli allodiali ( gli alpeggi alti, i migliori, importanti anche come luoghi di caccia ) rimarranno al Signore del Castello. I Comuni daranno così in gestione pascoli e caseggiati di malga alle comunanze agricole, che già li gestivano da secoli, conservando nel tempo i diritti di collettivo godimento, nel Trentino ancora vitali grazie all’impegno dell’economista Pietro Nervi, accademico emerito presso l’Università di Trento.

Questo attrezzo, nasce innanzitutto come esigenza di stabilirne il peso: il prodotto caseario finito, che fosse burro, ricotta o formaggio veniva diviso tra i proprietari del bestiame in rapporto al numero di capi alpeggiati: gli stampi più comuni corrispondono a 500 gr, 1 kg , 2 kg per le malghe con alto carico di vacche. Ma troviamo piccoli moduli di legno che corrispondono a 100 gr, 200 grammi, 250 gr, come certi piccoli stampi rinvenuti in aree montane dove la produzione del burro era per l’autoconsumo o piccole vendite:

Per la loro fabbricazione non era responsabile un specifico mestiere. Erano gli stessi pastori, quelli più dotati, che durante l’inverno si dedicavano alla elaborazione scultorea di questo attrezzo. E qui faccio una precisazione: su alcuni testi etnografici si legge che lo stampo da burro, il più delle volte, era fabbricato dai pastori nelle lunghissime giornate dedicate alla custodia della mandria. Niente di più sbagliato!

Costruire uno stampo da burro richiede abilità, tecniche e attrezzi da falegnameria non disponibili in malga, che, unitamente alle incisioni sui lati e sul fondo attraverso un fine o grossolano lavoro d’intaglio, diventano rappresentazione dell’arte popolare nella sua forma più immediata e pura.

Materiale usato

Per la loro costruzione si usava preferibilmente legno dolce, che si lascia incidere con facilità come il noce, il faggio, l’acero, il tiglio, il ciliegio. In sintesi tutte le latifoglie tranne il castagno, per via del suo alto contenuto in tannino. Pure molto apprezzato il cirmolo, seguito dall’abete rosso che cedono alla pasta di burro il profumo delle loro essenze.

Gli utensili da incisione: scalpelli da intaglio di varie misure.

Incisioni e ornati

Gli ornati incisi sugli stampi da burro non portano con se un mero elemento decorativo frutto della fantasia dell’artista artigiano, ma sovente sono una sedimentazione di tutta una simbologia di figure ( animali da latte e da caccia, erbe , fiori, simboli sacri, bacche ..) che ci aiutano a collocare la loro provenienza nel tempo e nel luogo con una certa precisione. E l’artista popolare che li fabbrica ha come unici destinatari del suo lavoro gli individui della collettività a cui egli stesso appartiene. Questo lavoro, apparentemente automatico, è guidato da una ben determinata organizzazione e successione di gesti per cui il taglio del pezzo di legno, l’incavo che determinerà il peso esatto del panetto di burro, la tacca, l’incisione del seme- segno saranno il risultato finale dell’idea iniziale.

Gli ornati, va detto, sono di grande interesse antropologico per via del legame produttivo con il mondo concreto e della vita quotidiana, con interessanti contaminazioni per via delle migrazioni alpine ( si pensi al mondo Walser nelle alpi occidentali a quello Trentino – sud Tirolese in stretto contatto con quello austriaco e cosi via).

In tutto il Tirolo prima della scatola da burro, l’attrezzo comunemente usato era il doppio-rullo (doppel Rollmodel):

e le tavolette da burro (Butterstempel) finemente incise con figure antropomorfe, fiori, immagini sacre e votive.

In Italia, un po’ in tutta l’area padana i panetti di burro confezionati nei caseifici di pianura erano decorati con apposite spatole finemente intagliate, mentre ( questo l’ho raccolto in Emilia Romagna) il pane di burro per auto consumo ( prodotto ponendo la panna di affioramento in un fiasco a bocca larga, scuotendolo con energia ) veniva ornato incidendo con la lama di un piccolo coltello, le spighe di frumento.

Nel Trentino, l’ornato comune a tutta l’area ladina e di lingua germanofona come la Val dei Mocheni, è l’Edelweiss, la Stella Alpina, ma anche la vacca , erba, fiori, in particolare la foglia e il fiore del trifoglio che sta a significare latte abbondante:

Nel Veneto l’ornato più comune è la vacca:

Ritornando al sud Tirolo è interessante lo stampo con un fondo estraibile con figure molteplici ( vacca, mirtillo, segale, fiore e bacca). La bacca è un elemento molto presente come ornato delle scatole di fattura austriaca e ha un profondo legame con la cultura celtica dove il sambuco è il simbolo del ciclo della vita femminile: il fiore rappresenta la pubertà, la bacca rossa la donna fertile, la bacca nera la donna in menopausa.

Altro stampo che merita una descrizione interessante è quello con incisi i fiori di mughetto, ornato molto diffuso nel salisburghese che ci riporta al Campanellino tenuto nella mano destra dal Gesù Bambino, alto 45 cm, di Filzmoos ( Pagau), luogo di pellegrinaggio famoso per le grazie ricevute.

Il miracoloso campanellino del Jesus Kindl di Filzmoos benedicente ha significato di allontanare il diavolo ed i demoni che abitano le nubi della tempesta, proteggere pastori e greggi, aiutare al recupero del bestiame smarrito, salvare dal perdersi in montagna.

In area slava invece l’ornato comune è il fiore e la bacca del mirtillo.

Le varianti relative ai moduli da burro e alle loro incisioni sono così molteplici, avvincenti e per questo tutt’altro che monotone. Antropologicamente ancora tutte da approfondire, “ perché dove non arriva la ragione “, come sosteneva Giuseppe Sĕbesta, tra i più importanti studiosi di arte popolare alpina, “deve arrivarci la fantasia “.

O forse lasciare che qualche mistero rimanga, per rendere questo mondo di oggetti naif ancora più magico.

Bibliografia:

Enzo Spera : Il Legno del Caprone, Il Mondo dell’Oggetto vol 1. Il Subbio Edizioni – Matera

Ernestine Hutter: Alles gemodelt- Ed. Museum Carolino Augusteum. Oktober 2001- Salzburger

Laura Zanetti: Il Trentino dimentica il suo burro. Ed. Cheesetime bimestrale di attualità e cultura del mondo caseario italiano e mondiale anno 3 n.12-2005

Laura Zanetti, Paolo Berni, Giuseppe Liguori: Formaggi e Cultura della Malga. Ed. Polisnova Verona 1985, Ed. Cierre Verona 1987.

Foto:

Lavorazione del burro : ©Walter Pescara – Brescia

Stampi di legno da burro dalla collezione di Laura Zanetti : Riccardo Trentin – Telve Valsugana

©Laura Zanetti